In principio era l’acqua. L’acqua era ovunque a Tivoli, zampillava purissima da sorgenti profonde, cadeva per dirupi disegnando infinite cascate. Era tutto un ribollire di energia, un paesaggio di energia, ma ci volevano ingegno e lavoro per incanalare e cogliere questa energia.
L’acqua dell’Aniene venne usata dai tiburtini per difendersi dai romani. Quando i tiburtini divennero cittadini di Roma, l’Aniene e la sua valle si trasformarono in un’enorme opportunità per l’Urbe in forte espansione. L’Aniene è stato il serbatoio d’acqua di Roma. Ben quattro degli undici acquedotti storici intercettarono acque o sorgenti del sistema idrico dell’Aniene.
Grazie ad esso, Roma inventò il concetto stesso di acqua potabile pubblica. Per rendersi conto di quanto sia decisiva tale conquista provate a recarvi in un villaggio africano dove le donne devono ogni giorno percorrere chilometri sotto il sole per procurarsi un po’ di acqua per bere e cucinare. Roma, prima città al mondo a superare il milione di abitanti, riuscì a fornire acqua potabile e bagni pubblici a tutta questa concentrazione di abitanti. Da quel momento in poi, nessuna civiltà può dirsi tale se non garantisce acqua per bere e lavarsi e fognature funzionanti alle proprie popolazioni.
Ai piedi di Tivoli, nella pianura dove l’Aniene scorre pigro per dirigersi verso il Tevere e verso dove sarebbe stata edificata Roma, l’acqua sedimentandosi e reagendo con i composti chimici che vi si trovano disciolti ha dato origine a una pietra calcarea calda e lavorabile: lapis tiburtinus, meglio conosciuto come travertino. Tagliandola o cuocendola per trasformarla in calce, i romani vi trovarono il materiale perfetto per edificare i loro capolavori di ingegneria civile: palazzi, templi, basiliche, terme, ponti.
Il fiume, che ha creato quella pietra, rese anche possibile trasportarla fino a Roma. Se osserviamo con attenzione le grandi voragini lasciate dall’estrazione del travertino nella cave di Tivoli, potremmo forse scorgervi il negativo di tutti i monumenti più importanti dell’Urbe.
Fiat lux, sia fatta la luce, e la luce fu, è certamente una delle espressioni più popolari nel racconto della Creazione e uno degli incipit più folgoranti della storia della scrittura umana. Il sogno di sconfiggere le tenebre ha appassionato gli uomini fin dall’antichità. L’evento che aprì la strada all’uso industriale dell’energia elettrica si consumò poco distante dal luogo dove oggi macchine moderne continuano a generare questo flusso di elettroni.
L’energia per illuminare Roma è stato l’ennesimo dono che l’Aniene ha fatto all’Urbe. Ciò che è accaduto a Tivoli tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento è paragonabile al tempo stesso a una sensazionale scoperta archeologica e a un’avvincente teoria scientifica. Della prima condivide la sistematica opera di recupero, che ha fornito una nuova rappresentazione delle cascate e dei canali, osservati non più soltanto come testimonianze di una storia antica, ma come forze eterne da adattare in termini contemporanei alla nostra civiltà. Della seconda possiede la lucida costruzione in rete di intuizioni ineccepibili. Questa originalissima miscela ha permesso di vedere qualcosa che prima non c’era. La particolare combinazione di tecnologie applicate per la prima volta insieme all’Acquaria ha sancito l’affermarsi di un paradigma tecnologico vincente: quello della corrente elettrica che può illuminare intere città e viaggia per centinaia di chilometri per entrare in ogni casa. La nascita di un’era che in seguito è rigogliosamente fiorita, quella dei dispositivi elettrici che ancora adesso costituiscono la quasi totalità delle tecnologie che usiamo tutti i giorni: dal telefonino al computer, dal televisore alla lavatrice, dalla sonda spaziale all’auto del futuro.
Al principio fu Vesta, alla fine è Acquoria, l’ispiratrice di migliaia di impianti sparsi oggi su tutti i continenti.