Raccogliere conchiglie: quante volte ci è capitato di compiere questo gesto, quando, in vacanza al mare, ci capita di passeggiare sul bagnasciuga?
Magari ci eravamo promesso di non raccoglierne più, memori dell’ultima borsa piena dei ricordi di tanti soggiorni al mare che abbiamo appena buttato, stanchi di spostarla da un ripostiglio all’altro.
Eppure, difficilmente si può resistere alla tentazione semplice del raccogliere una conchiglia che, in mezzo alle altre, ci colpisce per la forma, per il colore, per la preziosità della materia che la compone.
Un gesto irresistibile e primordiale, il gesto fondamentale della pulsione umana alla bellezza: isolare nel tutto del mondo un oggetto bello, sceglierlo, conservarlo. Addirittura, ornarsene il corpo portandolo al collo o al polso, donarlo, portarlo con sé tutta la vita e decidere di farsi seppellire con esso.
Oltre agli strumenti di lavori e alle prime lame e armi, le conchiglie sono tra gli oggetti più frequentemente rinvenuti nelle sepolture preistoriche:
unici a non avere un valore pratico, ma semplicemente estetico.
Quel gesto di vedere un oggetto, raccoglierlo e conservarlo solo per il suo valore estetico costituisce il livello più basilare dell’atto artistico.
Millenni di storia delle civiltà hanno aggiunto diverse forme d’arte e tecniche, per imitare o sostituirsi alla natura nella produzione di oggetti degni di essere ammirati: i graffiti rupestri; l’oreficeria; la scultura; la pittura… pittura a encausto, tempera, olio, acquerello; infine la fotografia, dai dagherrotipi al digitale.
Cambiano la tecniche, i committenti, i movimenti artistici.
Non cambia quel gesto che, nella sua essenzialità, continuano a compiere musei, gallerie, collezionisti e critici d’arte:
scegliere quanto di bello c’è al mondo e conservarlo con cura, per non stancarsi mai di ammirarlo.